Venditti tra calcio e canzoni
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TRATTO DA
“Correndo correndo con Antonello Venditti- fra calcio e musica” di Luca Vittorio Lazzerini e Marcello Lazzerini EDIFIR Edizioni Firenze-Marcello Zeppi Editore

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FUI INIZIATO DA MIO ZIO…

Torniamo agli inizi della tua passione calcistica che non ti ha più, non ci ha più, abbandonato: la tua iniziazione è avvenuta quando eri piccolo, grazie-mi diceva Beppe Cova-all’opera educativa di tuo zio.

Adalberto Sicardi, detto “l’Avvocato” , pur non essendo Agnelli. Lui è stato uno dei soci fondatori della Roma e mi ha portato allo stadio quando avevo cinque anni. Eppoi ho vissuto un po’ da privilegiato nell’epoca in cui i calciatori facevano una bella vita, la “dolce vita” romana. Io ero piccolo, e godevo di alcuni privilegi, nel senso che la notte, sottolineo la notte, venivano a casa di mio zio e quindi di mia zia Sandra che è ancora viva - purtroppo lo zio è morto all’età di 48 anni - preparava da mangiare per tutti. Povera zia, ha cucinato per tutti i giocatori della Roma dal ’56 al ’64: la casa di mio zio era aperta tutta la notte.
Ed io ho vissuto tutto questo. Ripeto: sono stato un privilegiato. Ero uno di quei bambini che avevano il pallone prima dell’inizio del campionato con tutte le firme, la magliette, insomma le cose che fanno la felicità di un ragazzino.
E poi casualmente venni a scoprire una cosa che ancor  oggi ricordo con piacere:
io sono nato in via Zara 13, e un giorno, e puoi capire com’è diversa oggi la vita del calciatore da quella di allora, mentre stavo andando allo stadio, sarà stato il ‘58-usciva di casa dal mio stesso portone, Guarnacci: non sapevo che il capitano della Roma, insieme a Losi, abitasse due piani sotto il nostro!
Egidio Guarnacci. Lui andava con l’auto a giocare ed io prendevo l’autobus per andare a vedere la mia Roma. Stesso stabile, stessa destinazione, guarda tu!
Ho vissuto lo Stadio Olimpico in tutti i modi, perché fino a quando è stato vivo mio zio andavo in tribuna Montemario e rammento ancora la prima partita: mi pare fosse Roma-Padova, il Padova di Rocco, con Scagnellato, Blason, e mi ricordo il bambino che sale le scale e ad un certo  punto vede questa cosa straordinaria che è lo stadio, con la gente, i colori, i rumori…
Io ho vissuto anche la Roma su un albero, questa è stupenda, perché non avendoci i soldi molte volte andavo alla Curva Nord, dove c’era una fitta vegetazione: e sugli alberi si arrampicavano migliaia di persone, però riuscivamo a vedere solo una porta, quella della Curva Sud e fino alla bandierina dell’angolo…
Da lassù ho visto partite memorabili, anche sotto la pioggia.
Mi ricordo ancora un Roma-Milan, dove segnò Amarildo all’ultimo. Sai che la pioggia trasporta i rumori: ho sentito la botta, da 120 metri!, di Amarildo e ho visto il gol! E c’ho ancora nella mente il rumore di quel calcio, di quel colpo. E la Roma perse. Uno a zero. E questo albero era distrutto, perché pioveva, pioveva. E anch’io come lui.
Avevi perso, c’era la pioggia, dovevi scendere…
Invece un’altra volta mi trovai ad un derby in notturna, Lazio-Roma, quello rimasto famoso perché ad un certo punto andò via la luce e la partita fu data vinta alla Roma per due a zero: ebbene, io che ero un bambino grassotto, fui trasportato, ti giuro, nel buio, dal pubblico che si spostava continuamente, al di là del divisorio del vetro. Come una piuma mi ritrovai dall’altra parte ed il resto della partita l’ho visto in tribuna Montemario, come un signore!
E ricordo con la gioia nel cuore le coreografie di Roma-Napoli, col ciuccio napoletano che faceva davvero il giro del campo, noi tifosi romanisti, invece rispondevamo con le bare.
Tutte queste cose ora sarebbero improponibili.

Cosa ti è rimasto dentro?

Diciamo, la Roma di quando ero bambino. Che era quella di Manfredini, Lojacono, Angelillo, Da Costa, il brasiliano bianco. Il mito era proprio lui. Faceva tre goal ad ogni derby, come fai a non innamorartene…
Era la bestia nera di Lovati, portiere della Lazio.
La mia generazione ha avuto come idoli italiani De Sisti e personaggi minori che avrebbero potuto avere una grande carriera che poi è stata spezzata, come i due fratelli Landini, uno dei quali andò alla Juve insieme a Capello e Spinosi in cambio di Zigoni, del Sol, Vieri padre.

Tu come quasi tutti i ragazzi giocavi al calcio, no?

Si, nei tornei parrocchiali oppure studenteschi.
La nostra squadra si chiamava “Abelarda”, non so per quale ragione, non ricordo, e arrivammo secondi in un torneo importante, prima interparrocchiale poi di categoria superiore, fra i laici diciamo.
Io ero Facchetti. Giocavo sulla fascia sinistra. Però lui non sapeva colpire di testa come sapevo fare io . Le nostre maglie erano blu e gialle. Purtroppo, ad un certo punto, misi gli occhiali per una leggera miopia e un po’ di astigmatismo. Porca puttana…
Poi arrivò la motocicletta, avevo 17 anni e mezzo, che m’ha scassato le ginocchia. Se ti faccio vedere il ginocchio mio, al confronto quello di Ancelotti è un fiore. Quindi è stato un stop totale. Ho chiuso lì, a 18 anni, la mia carriera.
Tranne poi a riprendere a giocare con gli amici, anche con Falcao, Bruno Conti e altri,  nei tornei di calcio a cinque o di “calciotto”, calcio a otto, con le regole del calcio. E però quando sono tornato sui campi, negli anni ’80, ero già vecchiotto, mi sono ritrovato una tecnica spaventosa. Non mi ricordavo più come giocavo a pallone, per cui il 40% di piede me lo sono riscoperto in gran forma e davvero davo la palla con destrezza e precisione…
Non ero più di fascia, perché correvo un po’ di meno, anche se fare il cantante aiuta anche perché si corre, si salta sul palco,  ci vuole tanto fiato. Ho quindi ripreso da centrocampista e poi sono andato, non so come, a fare il centravanti arretrato. Cioè praticamente , alla Di Stefano.

Vuol dire che ti faremo la statua come a Di Stefano…Al di là delle battute, i luoghi e i miti del calcio sono anche itinerari turistici, viaggi della memoria e delle emozioni: io stesso, che vado spesso in Spagna, sono tornato al Sarrià di Barcellona, in piazza Zamora(ma qui da noi a nessun atleta è mai stata intitolata una strada, una viuzza, una piazzetta!), il campo dove nell' 82 , gli azzurri di Bearzot sconfissero il Brasile, aprendosi la strada per la conquista del mondiale. Purtroppo quel tempio a noi caro, è stato cancellato credo da un supermercato.

Anche i nostri templi laici, pagani, sono decaduti… scomparsi: penso al Filadelfia di Torino. Quello del grande Toro.

E San Siro che emozione ti dà? Hai tenuto lì qualche concerto?

Si, vi ho suonato. Si chiama “Meazza”. Ma come vedi non ha attecchito, perché è più forte l’idea del Santo che quella del giocatore. Il calcio, come valore laico, rimane subalterno a quello della fede. O al nome originario che si tramanda di generazione in generazione e quindi resiste. Per quasi tutti è così, tranne che per il Santiago Bernabeu…

Secondo te, nella canzone di Roberto Vecchioni. "Luci a San Siro", c’è un riferimento a San Siro come luogo del calcio?

Lui è un interista acceso. Andammo pure a vedere un Inter-Roma (e vinse la Roma, e ancora se lo ricorda...), penso che vagamente ci sia un riferimento. Anche perché San Siro è un po’ come Porta Romana, il luogo delle mignotte, detto francamente, unito a questo profumo di calcio che rimane addosso.
Lo stadio è un monumento della città. Questo è indubbio. Quindi una città si vede anche dallo stadio che ha.  E’ il tempio pagano. Il  Colosseo è rimasto in piedi per tanti anni. Era uguale. Adesso voglio vedere se ci sarà un tempio che resisterà tanti anni quanti ne ha attraversati il Colosseo: quindi pensa quanto era forte nei Romani l’idea del gioco, anche tragico…E la metafora della vita era piena, perché lì la vita la perdevi davvero, però la potevi anche riacquistare, vita e libertà, se riuscivi a vincere da gladiatore.
Questa idea della salvazione come gioco dove ti puoi perdere ma puoi anche vincere , e in ballo c’è la vita, rimane un po’ a livello tribale, primordiale, nella genetica del calcio.
Credo che nessun gioco al mondo, nessuno sport tra virgolette, abbia queste caratteristiche. C’è più vita, e più metafora nel gioco, nelle regole, nella possibilità di deviare, di inganno, di redenzione, di dramma, di gioia, di caduta e di rinascita…che altrove.

Quasi un senso biblico?

Direi di si. E’ allegorico come nessun altro sport al mondo.

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