Venditti a Coverciano
4/6/2001
Cerimonia di premiazione di Antonello Venditti. Alle ore 11 nell’Aula magna del Centro il presidente del Settore Tecnico, avvocato Mario Valitutti, consegna ad Antonello Venditti il diploma di Socio d’Onore della “Associazione Calcio e Cultura” istituita nell’ambito del Settore. Il riconoscimento è stato assegnato al celebre cantautore romano “in segno di riconoscenza per il modo con cui rappresenta nelle sue creazioni musicali e nel suo stile di vita un messaggio positivo del calcio visto come fenomeno sociale e di costume”. Seguiranno: la presentazione del libro “Correndo correndo... con Antonello Venditti - Fra calcio e musica” di Luca e Marcello Lazzerini, ed un incontro con la stampa. Nel pomeriggio Venditti sarà ospite del Museo del Calcio.
TRATTO DA
“Correndo correndo con
Antonello
Venditti- fra calcio e musica” di Luca Vittorio Lazzerini e Marcello
Lazzerini
EDIFIR Edizioni Firenze-Marcello Zeppi Editore :
Parte 1
Continua Parte 2
Vai
a "Antonello e i mondiali"
(….)
Tu sei l’artista che più di ogni
altro ha dedicato le proprie canzoni
al calcio giocato e a quello che spesso viene rappresentato come
metafora
della vita: da “Roma Roma” divenuto inno
ufficiale
della squadra giallorossa, a “Grazie Roma”,
da “Correndo correndo”( canzone pensata per Francesco Rocca
("Kawasaky")
-, composta per Sebino Nela, ma dedicata a tutti i calciatori soli con
i loro infortuni, alle prese con difficili recuperi, “Correndo
Correndo”
lontani dai riflettori, ndr), al brano più recente “La
coscienza di Zeman”. Nel mezzo, tra le prime e l’ultima, ci sono
altri brani con citazioni e riferimenti espliciti al calcio come
scenario
di un immaginario collettivo, di uno stato emotivo, di particolari
stagioni
della nostra vita : ricordo “Notte prima degli
esami”,
ovvero “..”Notte di sogni di coppe di campioni”(qui il
riferimento
può essere sia alle storiche vittorie europee di Inter e Milan
negli
anni ’60 , ovvero il periodo adolescenziale di Venditti, sia al “sogno”
della Roma del ‘84, sfumato poi con il Liverpool, ndr) ,
“Giulio Cesare” ( “era
l’anno
dei mondiali quelli del ’66, la regina d’Inghilterra era Pelè”,
“erano l’anno dei mondiali quelli del’86, Paolo Rossi era un ragazzo
come
noi”);
A queste se ne devono
aggiungere
altre come “Ci vorrebbe un amico”
che ho interpretato per la prima volta al Circo Massimo nel ’84, nel
concerto
che fu un doppio concerto, prima e dopo la partita con il Liverpool.
La feci per la prima volta,
insieme
a “Notte prima degli esami”,
dove già presagivo la sconfitta della Roma.
In “Ci vorrebbe un amico” faccio
riferimento a una storia d’amore finita male, dove evoco, per
descrivere
il mio stato d’animo, una aspro confronto calcistico
“è stata una partita, va
bene hai vinto tu, e tutto il resto è vita…”. Poi ce n’è
un'altra antichissima che si chiama “Dove”
dall’album “L’orso bruno”, nel cui testo
cito
la Roma e un calciatore, Valerio Spadoni.
Qui dico “La Roma ha perso domenica e chi se ne frega mancava Spadoni”.
Allora come vedi, i campioni erano un po’ diversi…con nomi meno
roboanti
e nostrani. In quella canzone, che è del ’72 credo, maledico la
Roma perché ha perso e perché non giocava il mio
preferito.
L’amore si rovescia in rabbia, come accade per i sentimenti più
genuini, per ognuno di noi.
Forse ce ne saranno pure altre
se ci vado a ripensare. Nella frase “C’è un cuore che batte nel
cuore di Roma” lì non c’è un vero e proprio riferimento
calcistico,
ma dove si parla, nelle mie canzoni, di vittoria o di sconfitta,
l’analogia
è sempre con il calcio, come, per esempio, nel verso “Notte
di coppe di campioni”…
(….)
Il mondo dei miei anni giovanili
era certo un mondo chiuso, ma nel quale il calcio era veramente un
gioco,
che aveva i suoi valori, tant’è vero che noi giovani giocavamo
senza
l’arbitro. Oggi è impensabile, anche fra studenti, non avere
l’arbitro.
Una delle caratteristiche della partita importante, anche se giocata a
livello studentesco, è il fatto che ci sia qualcuno: il potere.
Qualcuno che gestisca le regole,
perché ognuno di quelli che oggi gioca ha talmente voglia di
vincere
che userebbe qualsiasi mezzo per raggiungere il suo obiettivo di
successo
sull’avversario.
Io rammento partite memorabili,
con arbitri, disputate tra noi, ricordo Veltroni, forse D’Alema, ogni
primo
giorno dell’anno, nelle quali si confrontavano i redattori
dell’Unità
contro la nostra squadra“Sdegno
proletario”.
Erano partite che avevano bisogno
dell’arbitro sul quale non mancavamo di esercitare pressioni
psicologiche….
Ecco: penso che il calcio di
oggi,
assomiglia sempre di più ad un palio di Siena durante il quale
tutti
i mezzi per vincere sono leciti…
E alla fine vince sempre il
migliore,
perché tu devi essere stato il migliore in tutto, anche nel
comprare
l’avversario o avere alleati potenti.
LA RADIO E IL SOGNO…
E’ chiaro che oggi si ha una
visione
del calcio abbastanza trasparente, mentre ai tempi in cui ero
ragazzino,
leggevamo a Roma soltanto due giornali sportivi: “il corriere dello
Sport”
e “Il tifone”. Per trovare notizie sugli allenamenti, sui tifosi, sui
giocatori,
c’era bisogno veramente del lumicino. Non c’erano le radio e le tv.
Negli anni ’60 la RAI trasmetteva
mezzo tempo alla sei e mezzo della domenica e la radio dava soltanto i
secondi tempi.
Quindi tu già cominciavi
a vivere la partita oniricamente: l’idea di sogno era molto potente. Tu
dovevi immaginare dalle voci dell’epoca - prima fra tutte quella di
Nicolò Carosio - l’andamento del
campionato.
Un’attesa snervante perché Carosio faceva solo una partita, dopo
venivano dati i risultati finali. Un po’ era come l’estrazione del
lotto.
Tu non avevi la
possibilità
di sapere istantaneamente come giocava la tua squadra, quindi aumentava
l’ansia, l’attesa.
Si doveva andare allo stadio per
vivere quell’avvenimento in tempo reale.
Il calcio si nutria più
di sogni che di realtà.
Eh, sarebbe bello fare un film
sulla voce. Un film su Nicolò Carosio. La partita si può
“vedere” anche alla radio. Secondo me, se tu facessi un film sulla vita
di Carosio, credo che sarebbe bellissimo perché lui è
riuscito
a farci vedere tutto: lo stadio, con i suoi colori, la gente, il campo,
i suoi contorni, la tribuna: era immaginifico perché usava anche
un linguaggio speciale, retorico, enfatico, drammatico: però
paradossalmente
in quel mondo ci stava benissimo.
Oggi c’è una retorica
ancora
più bassa…
(…)
LE MIE CANZONI
Feci
“Roma roma”
nel
1974 circa. Era stranissimo che un “compagno” scrivesse una canzone che
non fosse dedicata all’impegno. A qualcosa di palpabile, ma fosse
invece
quasi di adesione completa, acritica, di amore totale verso una squadra
di calcio. E invece anche quella era una canzone politica. Scoperta
dopo.
Perché quando dico “gialla come er
sole rossa come er core mio”, l’hanno
inteso
tutti il significato. Tanto è vero che questa canzone
subì
ostacoli. La storia di questo grido d’amore, di questo inno che aveva
dignità
di canzone, perché prima c’erano tanti “paparapapà”,
è
stata abbastanza tormentata.
E’ stata la prima ad essere messa
allo stadio non c’erano precedenti nella cultura italiana.
Pensa fu diffusa in occasione
della
partita Roma-Fiorentina del ’74. E la
Roma
prese una multa perché la canzone non fu trasmessa all’inizio e
fu considerata perciò un’interruzione della partita; tanto
è
vero che siccome scattò dopo il primo goal della Roma che non
segnava
da tempo, un goal di Prati,
credo, la gente restò attonita: non sapeva cosa fosse.
Ora è stata adottata come inno della Roma.
Credo sia l’inno più
antico.
Poi “Grazie
Roma” è stata la canzone più
bella non solo per me, ma per gli sportivi.
Io sono stato fatto cavaliere
della
Roma con una bella motivazione, riconosciuta da tutto il mondo dello
sport.
Ricordo che durante un concerto, non so se a Livorno o a Firenze, e io ero sul palco, quando cantasti “Grazie Roma”, tutti, pur non essendo tifosi romanisti, si unirono in coro a te…
E’ l’unica canzone italiana
inserita
tra tutti gli inni. E’ riconosciuta come la canzone più bella
del
mondo nel suo genere. Se vai in Inghilterra la conoscono, oppure in
Spagna.
Io ho sempre rifiutato il discorso dell’inno, che è sempre una
cosa
marziale, che non va bene.
“Roma Roma” normalmente si mete
all’inizio e “Grazie Roma” alla fine: sono
l’unico ad avere due canzoni allo stadio!
La cosa bella, è che la
storia di questa canzone che dura da quasi trent’anni, è stata
segnata
da un percorso difficile, perché non era accettata da tutti.
E lì cominciai a
capire
che effettivamente, per esempio anche con l’uccisione
di Paparelli, quella ignobile cosa che
accadde,
l’Italia stava cambiando e le tensioni erano entrate dentro lo stadio.
Le parti politiche vi entrarono:
e quindi la Roma, proprio per la sua storia, è stata sempre
segnalata
una squadra di sinistra e la Lazio, per sua storia, è stata
segnalata
come di destra.
Le due culture, ancora oggi
sopravvivono
nello stadio, anche se in maniera meno evidente, perché alla
fina,
la parte più acuta della tifoseria è di destra. Quella
ultras,
quella sottoproletaria.
Se tu sai guardare bene lo stadio
capisci anche la politica. Ad esempio la Lega che è nata negli
anni
’70 era stata anticipata da discorsi leghisti nello stadio e che potevi
avvertire, attraverso le espressioni colorite delle tifoserie: a
Verona,
Brescia, a Bergamo vedevi gli striscioni allo stadio, nei cavalcavia su
cui era scritto “Via i romani dal Friuli”, “Via i romani dal veneto e
altri
ancora.
(…)
In un saggio sulla violenza del calcio in Italia,
Antonio
Roversi e Roberto Moscati, indicano nel decennio degli anni ’70
la
prima fase del tifo ultras: le curve diventano il loro territorio. Tra
la fine degli anni ’70 e i primi anni ‘80 , una nuova generazione di
ultras
pone al centro dei propri comportamenti lo scontro con gli avversari,
collocando
sullo sfondo l’avvenimento sportivo.
Di questi comportamenti il film “Ultrà” di Ricky Tognazzi ci ha dato una fotografia agghiacciante: la partita non c’entra né si vede. Ma anche quella fase acuta, tragica, forse oggi è in buona parte superata…
Ma veniamo alle tue prime canzoni ispirate al calcio, che sottendono nonostante l’apparente disimpegno, temi sottilmente politici e ideali che rappresentarono una provocazione culturale, una rottura con rigidi schemi mentali e ideologici, una scelta di coraggio, nonché un atto d’amore totale per la tua squadra e la tua città, ma soprattutto verso i valori dello sport, che oggi sono messi a dura prova
Quando scrissi “Roma
Roma”, la squadra era quella del
presidente
Anzalone.
E anche la squadra di calcio partecipò al coro: anche quella fu
la prima volta.
Addirittura fummo costretti a
toglierla
dal mercato, altrimenti andava in hit parade dato il suo clamoroso
successo.
Quando arrivò Viola
che era un pacifico democristiano, “rosso come il core mio” non lo
gradì
tanto e la cosa incredibile fu che la canzone venne tolta dallo stadio
e sostituita con due canzoni di Lando Fiorini.
La Roma vinse lo scudetto senza
la mia canzone.
Poi, alla fina, quando Viola
capì
che io non ero un avversario politico, tantomeno volevo diventare
presidente
della Roma, nell’83, dopo la conquista
del
titolo, tornai allo stadio con “Grazie Roma”.
E qui ricomincia il tuo rapporto da artista con il calcio. Sei stato l’unico ad entrare dentro questo mondo , che è fatto di passione e sentimento, in maniera massiccia e costante, non limitandoti ad assumerlo come metafora, non è così?
“Grazie Roma” la considero una
canzone
dalla costruzione perfetta., Perché c’è una grande
simbiosi
tra la città, la squadra e il linguaggio.
“Grazie Roma” è divisa in
tre parti: tu la puoi leggere solamente come Roma, nel senso della
squadra
di calcio, la puoi leggere come città, e poi c’è una
versione
nazionale perché la prima parte è cantata in italiano, e
nella seconda è come se io mi riprendessi il mio tesoro e lo
cantassi
solo per i romani. E’ un po’ come l’inno cecoslovacco: la prima parte
è
in ceco, la seconda in slovacco.E gli Slovacchi aspettavano la seconda
parte no?
“Grazie Roma” è una
canzone
meravigliosa che, credo, sarà una delle mie canzoni che
rimarranno
per sempre.
Pensa che avevo già
pubblicato
“Roma
capoccia”, scritta nel ’63
ed uscita nel ’71,
e che vanta tantissimi titoli di giornali. E avrò trenta, di
anni
diversi, dove c’è scritto “Roma capoccia”, intendendo proprio la
squadra.
“Correndo correndo” viene dopo ed è dedicata a Nela e a tutti gli infortunati.
Parte dall’infortunio di Francesco
Rocca , poi prosegue con gli altri, e
quindi
anche Nela,
perché
in effetti non la finivo mai…Ha valore universale.
E’ la canzone per il calciatore
infortunato. C’è il recupero fatto in solitudine, lontano dallo
stadio, lontano dai clamori, dove ti vengono milioni di dubbi, dove
soffri,
e poi paradossalmente, avverti il parallelismo e la contrapposizione
tra
il mondo dell’agonismo, quindi del risultato della domenica e il mondo
vero, sportivo, che è quello di uno che corre in solitudine per
rimettersi.
Ma ha anche altre facce: ti
accorgi
della natura, del tuo corpo, del tuo sudore. E capisci la ragione per
la
quale tu stai facendo quella cosa.
E’ un discorso molto bello dove
lui alla fine dice “acqua pura ci sarà”.
E lui mentre sa da solo nel bosco
pensa e dice, “mi sta a scappare l’uomo, chi lo ferma…”.
I suoi sono gli incubi di quelli
che un tempo chiamavamo terzini, i loro tormenti erano le ali(“toh m’ha
fatto un tunnel ed è andato via”!), come l’incubo di un
centravanti
è quello di prendere un palo oppure sbagliare un rigore…
Già il rigore. A proposito “La leva calcistica” di Francesco De Gregori, ti ha in qualche modo toccato?
Guarda io e Francesco siamo
sempre
stati complementari. Quindi ancora oggi regge una grandissima amicizia
e lui ha scritto due bellissime canzoni: “Nino
non aver paura di tirare un calcio di rigore, un giocatore lo vedi dal
coraggio, dall’altruismo, dalla fantasia”,
bella. Dell’altra, meno nota, non ricordo il titolo.
Io direi che “Grazie Roma” se la
batte con questa. Mentre la mia è un coro, quella è un
romanzo,
un piccolo romanzo, è letteratura.
Senza dubbio sono queste le
più
belle canzoni che siano state scritte sul calcio.
Altri autori che ti hanno colpito?
Ligabue. “Una vita da mediano” è una metafora, è l’allegoria dell’operaio che non vede mai le luci della ribalta, uno dei tanti che portano il mattone, che vivono all’ombra degli altri senza mai emergere, e che pure sono importanti nella società, così come nella squadra. E’ un inno all’individuo medio.
Ritorniamo a te “La coscienza di Zeman” cos’è esattamente, cosa vuol significare?
E’ pura ideologia. E’ la
visione
critica o ironica di un limite ideologico e filosofico: “Perché
non cambi mai, perché non cambi mai”. Questa è la
domanda,
questo è l’assillo, ma lui sa, noi sappiamo, che lui
continuerà
per sempre la sua sfida contro il palazzo senza scendere a compromessi.
Ma sappiamo anche che “il
sogno non si avvera quasi mai”.
Direi che l’idea del gioco di
Zeman
racchiude un concetto democratico e antidemocratico al tempo stesso: il
suo è un calcio d’attacco, senza equilibrismi e compromessi (“il
pareggio mai tu non lo firmerai”), contro il sistema, contro il potere,
al quale anche i talenti devono piegarsi annullando la loro
individualità…
(…)
Nella tua canzone c’è questa metafora…
Assolutamente. E poi
c’è
per la prima volta l’idea del potere sovrastante, per cui ad un certo
punto
“il palazzo risponde col tacco”, e quindi con un estremo atto di
finezza
ti hanno eliminato, con un tacco appunto.
Poi dice il pubblico è con
te, ma il sogno non si avvera quasi mai: perché la perfezione
non
umana, quindi il sogno di avvicinare la realtà alla tua
ideologia
non si avvera, quasi mai. Ed è giusto anche che non si avveri
perché
c’è la variabile umana. C’è il campo, il vento,
l’arbitro,
i giocatori, il caso: da qui il detto la palla è rotonda.
Secondo te perché altri cantautori che pur essendo appassionati di calcio, giocandolo anche, non hanno dedicato che sporadicamente le loro canzoni a questo sport? E’ un limite culturale, un limite di sensibilità?
Di pudore, direi, perché tutto sommato il calcio non è visto ancora come fenomeno culturale tout court. Per me invece lo è. Anche in senso negativo, beninteso. E’ una cartina di tornasole di una società, o di una parte dei giovani.
Hanno timore di sporcarsi le mani?
Non credo. Per esempio io vado
allo
Stadio ed ho paura di venire ripreso dalle telecamere, mentre
c’è
gente che adesso va allo stadio per farsi inquadrare.
La mia passione è pura,
non vado allo stadio per essere ripreso. Tutt’altro. Tanto è
vero
che vado nella tribuna opposta, e sono l’unico che ha una tribunetta
sua che si chiama “Roma capoccia” e dove
c’è
lo striscione che mi hanno fatto.
Guarda che io ero un solitario
e andavo allo stadio da solo, e pagavo, in curva. Ad un certo punto ho
trovato quelli che sarebbero diventati i miei amici, amici di stadio,
che
hanno una loro funzione anche nella vita di tutti i giorni
perché
c’è un travaso, sempre molto stretto: sono amicizie che sono
nate
allo stadio, poi sono diventate un’altra cosa, quindi le ritrovi alla
partita,
qualche volta si va a cena…Che poi lo stadio è perfetto.
La grandezza di “Grazie Roma”
è
che in due parole dice quello che è presente: “Grazie Roma-ma
puoi
metterci Fiorentina, Inter, Milan- che ci fai vivere e abbracciarci
ancora,
che ci fai sentire una persona sola”
Cioè, in quel
momento
c’è la gioia del goal e la gioia di sentirsi uomini facenti
parte
tutti di uno stesso destino, si uno stesso interesse, della fratellanza
cosmica se vuoi…
Che è una cosa bellissima.
E’ universale.
E’ un rapporto d’amore che parte
prima come rapporto personale e poi diventa corale…e l’idea di inno
dovrebbe
essere proprio questa.
Tante polemiche si sono fatte sul
nostro inno nazionale, che poi quel poverino di Mameli
non
c’entra nulla. Le parole le ha scritte
Novaro.
Non è il problema della
musica: la musica è sufficientemente italiana. Il problema
è
il testo . Perché non lo cantiamo? Perché non ce lo
ricordiamo:
usa un linguaggio ottocentesco, laddove noi siamo gente del nostro
tempo.
Povero Mameli, diciamo di chi è la colpa: Novaro!
Nel '2001 Antonello Venditti presenterà una nuova canzone in occasione del terzo scudetto della Roma, "Che c'è", cantata per la prima volta al Circo Massimo già teatro di altri storici concerti. (ndr)
Alcune canzoni sul calcio :
Rita Pavone
La partita di pallone
Saar, 1962
Adriano Celentano
Eravamo in 100.000
Clan, 1969
Roberto Vecchioni
Luci a San Siro
Philips, 1971
Antonello Venditti
Derby
Rca, 1974
Antonello Venditti
La Roma (non si discute, si ama)
Rca, 1974
Enzo Jannacci
Quelli che
Rca, 1975
Enzo Jannacci
Vincenzina e la fabbrica
Rca, 1975
Claudio Baglioni
2-1-X
Rca, 1975
Francesco De Gregori
La leva calcistica dell'anno "68"
Sony Music, 1982
Antonello Venditti
Grazie Roma
Rca, 1983
Antonello Venditti
Roma Roma
1983, Rca
Antonello Venditti
Notte prima degli esami
Bmg, 1984
Claudio Baglioni
Un nuovo giorno un giorno nuovo
Cbs, 1985
Gianna Nannini
Un'estate italiana
Fonit Cetra, 1989
Roberto Vecchioni
Gli anni
Cgd, 1989
883
La dura legge del goal
Rti, 1997
Claudio Baglioni
Da me a te
Bmg, 1998
Ligabue
Una vita da mediano
Wea, 1999
Antonello Venditti
La coscienza di Zeman
Bmg-Ricordi, 1999